Lo scorso 25 novembre la Suprema Corte di Cassazione III Sez. penale si è pronunciata in materia di responsabilità derivante dalle violazioni delle prescrizioni AIA in assenza delega di funzioni con un’interessante sentenza, la n. 33033 del 2020.
La Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Genova che aveva dichiarato la penale responsabilità per il reato di cui all’art. art. 29-quattuordecies, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 152 del 2006, il quale punisce colui che viola le prescrizioni imposte dall’autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla specifica impresa. Per quanto riguarda il secondo motivo del ricorso, avente ad oggetto la supposta erronea individuazione del soggetto a cui riferire la violazione, la Corte ha ritenuto infondate le censure formulate sul presupposto dei principi applicabili in tema di organizzazioni complesse.
Si è infatti affermato che “in tema di reati ambientali, non è più richiesto, per la validità e l’efficacia della delega di funzioni, che il trasferimento delle stesse sia reso necessario dalle dimensioni dell’impresa o, quanto meno, dalle esigenze organizzative della medesima, attesa l’esigenza di evitare asimmetrie con la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la quale, a seguito della entrata in vigore dell’art. 16 d.lgs. n. 81 del 2008, non contempla più tra i requisiti richiesti per una delega valida ed efficace quello delle «necessità»”, ed ancora “Tuttavia, proprio a norma dell’art. 16 d.lgs. n. 81 del 2008, occorre, tra l’altro, che la delega di funzioni risulti da atto scritto avente data certa; inoltre, la giurisprudenza, pure ritenendo in genere derogabile il requisito della forma scritta, richiede comunque che l’atto traslativo riguardi anche i compiti connessi alla posizione di garanzia del titolare e sia connotato dai requisiti della chiarezza e della certezza”.
La sentenza di primo grado, impugnata dal ricorrente, aveva infatti affermato l’attribuibilità della condotta illecita all’imputato all’esito di un esame delle circostanze di fatto acquisite agli atti, perché risultava essere stato sempre l’imputato, e non il figlio di questi o altri, a rapportarsi con il funzionario incaricato della verifica. Inoltre, conclude affermando che l’organigramma dell’impresa prodotto nel giudizio era aggiornato a maggio 2017, e quindi è successivo ai fatti in contestazione, e collegava comunque la responsabilità per l’osservanza delle prescrizioni dettate dall’autorizzazione integrata ambientale al titolare della posizione, sebbene in coordinato rapporto con un consulente esterno.
Alla luce quindi delle argomentazioni addotte dalla Suprema Corte, le conclusioni del Tribunale sono state ritenute incensurabili.
Dott. Flavio Contursi
Sede Roma
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