Cosa è successo.
I fatti emersi in questi giorni hanno portato al sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria di una condotta abusiva di un chilometro realizzata a margine dell’impianto di produzione del sale delle ‘Saline di Margherita di Savoia’ oltre ad una porzione del Canale Cinquemetri di proprietà del Comune di Trinitapoli sulle cui sponde sarebbero stati ritrovati molti metri cubi di rifiuto contaminato tra cui plastica, pneumatici, vetro e lastre di eternit.
La vicenda di Margherita di Savoia non solo merita particolare attenzione per gli effetti persino visivi all’ecosistema circostante e perché segue moltissime segnalazioni sulla presenza della colorazione rossa delle acque e su una forte connotazione oleosa e melmosa delle stesse, ma rappresenta anche l’occasione per alcune riflessioni di carattere più generale.
Cosa dobbiamo imparare da questa vicenda.
Le considerazioni, che naturalmente esulano dalla vicenda giudiziaria specifica che sarà oggetto degli accertamenti e approfondimenti della Magistratura, non riguardano solo una porzione del territorio ma il sistema dei canali e in generale delle acque interne nazionali che manifesta tutta la sua fragilità sotto molteplici profili.
- Molti scarichi privi di autorizzazione e di depurazione: Purtroppo si riscontra, su tutto il territorio nazionale, la presenza di scarichi privi della necessaria autorizzazione (art. 124 D.lgs 152/06) riguardanti insediamenti urbani, attività agricole e industriali che riversano i propri reflui nel corpo recettore attraverso condotte abusive o, in altri casi, in violazione delle prescrizioni impartite dall’autorità competente. E’ sufficiente leggere i Report di Legambiente o la recente Sentenza della Corte di Giustizia (causa C-251/17 Commissione / Italia in materia di trattamento delle acque reflue urbane ) del 31 maggio 2018 con cui la Corte ha condannato l’Italia a pagare, a favore del bilancio dell’Unione, una penalità di EUR 30 milioni per ciascun semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2012 (Sentenza della Corte del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C-565/10 tardato ad attuare la direttiva europea 271/1991 in materia di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane) . Inoltre, l’Italia tenuto conto della situazione concreta e delle violazioni in precedenza commesse in materia di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane, è stata condannata con la medesima sentenza a pagare a favore del bilancio dell’Unione, una somma forfettaria di EUR 25 milioni al fine di prevenire il futuro ripetersi di analoghe infrazioni al diritto dell’Unione.
- Le violazioni di scarico privo di autorizzazione o in violazione delle prescrizioni sono spesso accompagnate dalla ridotta attività di controllo e monitoraggio posta in capo alle differenti autorità di controllo, consorzi ed enti locali dovuta anche alla situazione in cui gli enti pubblici sono costretti ad operare sul piano economico e di risorse umane. Molto spesso il deficit organizzativo ed economico è aggravato anche dalla difficoltà di individuare gli abusi in assenza di una vistosa alterazione dello stato dei luoghi e delle matrici ambientali, come invece nel caso di Margherita di Savoia.
- Sversamento di rifiuti liquidi e conferimento di rifiuti nelle acque e sulle sponde di corsi d’acqua. Purtroppo assistiamo in gran parte delle Regioni d’Italia a corsi d’acqua le cui acque non solo sono oggetto di scarichi abusivi ma sono state contaminate anche dalla presenza di rifiuti di ogni genere e di differente provenienza (rifiuti pericolosi e non pericolosi derivanti dall’attività edile, agricola, industriale e urbana). La normativa è chiara nell’identificare all’ art. 184 comma 2 let. d) come rifiuti urbani i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua. con conseguente competenza alla rimozione da parte dell’ente territorialmente competente, in assenza dell’individuazione del soggetto responsabile. La normativa necessita, però, di integrazioni specifiche per dare la necessaria disciplina giuridica ai rifiuti che si trovano sulla superficie dei corsi d’acqua tra cui quelli di natura plastica, per la cui raccolta e gestione sono stati attivati degli interessanti progetti pilota come, per esempio, “Il Po d’AMAre” per la prevenzione dei rifiuti di plastica in mare.
- Necessità di una formazione culturale-ambientale e giuridica. La presenza di rifiuti sulle sponde o nell’alveo dei corsi d’acqua interni è il frutto di sistematiche violazioni di legge da parte di privati, di rappresentanti/dipendenti di società agricole, edili, fino ad arrivare a società che svolgono attività industriale. Tali comportamenti, in alcun modo ammissibili, sono il frutto di spregiudicatezza, ma anche di scarsa formazione culturale -ambientale e giuridica.
Perché le norme ambientali non hanno funzionato.
La sanzione amministrativa o penale da sola non ha rappresentato nel tempo un efficace deterrente alla commissione della violazione. Oltre alle ipotesi più gravi dei delitti contro l’ambiente disciplinati dalla L. 68/2015, occorre individuare efficaci strumenti che siano da deterrente e che incidano maggiormente sull’attività lavorativa e sui profili economici degli operatori. Accanto ad un efficace integrazione dell’impianto legislativo, è fondamentale anche una costante formazione ad opera delle stesse associazioni di categoria sui profili giuridici che caratterizzano la corretta gestione dei rifiuti e, in generale, le normative ambientali. In quest’ottica, le sfide che il nuovo pacchetto sull’economia circolare della Commissione Europea offre può costituire un’occasione per ridurre fenomeni di abbandono dei rifiuti e riportare all’interno della filiera della gestione dei rifiuti singoli comportamenti virtuosi o meno e nuove opportunità oltre, naturalmente, ai costi economici e sociali che troppo spesso sono posti a carico della comunità.